Monte Asolone, diario di Otto Gallian un libro della collana Storica
Le memorie di guerra di Otto Gallian, all’epoca sottotenente comandante di compagnia di Sturmtruppen reggimentali, costituiscono un esempio tra i più interessanti di testimonianze dell’ultimo anno di guerra e del crollo dell’Impero austro-ungarico. Proprio la scelta così esclusiva del periodo e del luogo – la parte occidentale del massiccio del Grappa – consente infatti all’autore non solo un’analitica narrazione dei fatti, ma la possibilità di commentarli alla luce delle vicende politiche che segnarono il tramonto della Casa d’Asburgo.
Nuova edizione integrale del diario di guerra 1917/1918
Questa edizione, che offre la traduzione integrale del testo comprensiva dei mesi di prigionia trascorsi in un ex-istituto dei salesiani di Mirabello Monferrato (AL) e l’avventurosa evasione e fuga attraverso il nord Italia fino ai ghiacciai delle Alpi, consente di seguire in tutto il suo sviluppo i combattimenti sul Monte Asolone e la loro interiorizzazione compiuta dall’autore. Ne emerge in controluce tutto il dramma e l’eroismo delle truppe italiane, tra cui i celebri arditi del IX Reparto d’Assalto, che affrontarono in questo settore del fronte veneto un avversario assolutamente determinato, deciso non solo a difendere fino alla fine le sue conquiste e un’istituzione imperiale che pure avvertiva come sempre più estranea, ma a porre anche le basi, ideologiche e politiche, di un’Austria del dopoguerra non più stato multinazionale, ma compatta comunità di cittadini di lingua tedesca.
Sturmtruppen e arditi sul Monte Asolone
“Gli scoppi delle bombe a mano sulla cresta si spostano sempre più verso l’Asolone. Gli italiani stanno dunque retrocedendo sul versante della Cesilla! Hurrà!
Ora però è il momento di muoversi! Irrompiamo, giusto in tempo per sorprendere il resto, una ventina di uomini circa. Mi avvicino a uno di loro: “Reggimento? Brigata?”.
“IX reparto d’assalto!” Battaglione assaltatori del Corpo d’Armata romano!
D’altro canto l’italiano che ci fronteggia – anche se nemico – merita tutto il nostro rispetto, tanto di cappello.
Per caso mi ritrovai più tardi fra le mani una pagina di giornale con la motivazione della sua decorazione – e come ex-nemico rimpiango solo di non poter più riportare qui il suo nome. Gravemente ferito su Col della Beretta, colpito subito dopo una seconda volta, si oppose, sollevandosi dalla barella, alla ritirata scomposta della sua compagnia, raccolse ancora una volta la truppa con forza sovrumana, guidando poi di nuovo l’attacco a fronte capovolto e riuscì a sfondarlo, uscendo da una situazione che sembrava irrimediabilmente perduta.
Col ripiegamento del battaglione assaltatori italiano il pericolo più serio è scongiurato. A quel punto alzo lo sguardo alla Q. 1522.
In alto sulla cresta si gode di uno splendido colpo d’occhio sull’intero campo di battaglia. Il Grappa è davanti a noi immerso nella luce solare, una montagna che “sputa fuoco”. Anelli di fumo ne circondano i fianchi, il Pertica e il Solarolo sono avvolti nel fumo. Il tuonare continua senza sosta. Quanto sangue dovrà ancora scorrere oggi? – Mondo illuminato dal sole!”
La prigionia e la fuga. Dal Piemonte ai ghiaccia delle Alpi
In quest’ottica l’insoddisfazione di una prigionia vissuta come mera ingiustizia, a guerra conclusa, e la determinazione a tornare in patria con le proprie forze e di propria iniziativa non costituiscono un’appendice trascurabile. Esse sono piuttosto le chiavi per comprendere come anche le sconfitte subite sulle dorsali del Grappa, non rappresentano per l’autore altrettanti “giorni perduti”, quanto piuttosto le basi su cui ricostruire un’identità a questo punto consapevolmente e orgogliosamente nazionale. Pochi memoriali austriaci denotano la stessa consapevolezza e la stessa determinazione.
Pronto per la fuga
“Liberi” – certo, ma al contempo selvaggina per ogni sentinella, carabiniere e guardia confinaria e fin dalle prime ore oggetto di una caccia, che verrà messa in atto con grande brutalità e senza tener conto dei tormenti che ci arreca; inseguiti poi per giorni, forse per settimane dai cani, finché non avremo davanti il confine con i suoi reticolati e i suoi pericoli, dove si giocherà la partita decisiva.
Non c’è da meravigliarsi se mi sento come prima dell’inizio di una grande offensiva. In vita non vedrò probabilmente più la maggior parte dei miei camerati del campo, dopo il ritorno a casa si divideranno nei nuovi stati e chi lo sa se, prima o poi, non ci si ritroverà ancora di fronte come avversari”.
Ruggero Favero –
Molto dettagliato, la lettura mi ha coinvolto immedesimandomi in molte parti….
valutazione: 5 stelle!
Andrea Pinato