Foto di guerriglieri Afghani che posano con le armi sottratte alle truppe russe - Itinera Progetti Editore

Gli Sniper Russi

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Nuovo appuntamento con la rubrica Mercoledì Storia che questa settimana sarà dedicata ad un argomento di attualità: l’Afghanistan. Vogliamo però fare un passo indietro per analizzare l’intervento sovietico (1979-1989) nel paese e l’impiego dei Reparti Speciali in contesti bellici complessi come quello afghano.
Buona lettura!

[…] L’intervento militare dell’URSS, per deporre il presidente Hafizullah Amin per rimpiazzarlo con Babrak Karmal, provocò una recrudescenza della guerriglia afghana contro il regime della filo sovietico, già da tempo molto estesa nel paese: i combattenti mujaheddin, divisi in più schieramenti e partiti che mai nel corso del conflitto ebbero una guida unitaria, intrapresero quindi una lunga campagna di guerriglia a danno delle forze sovietico-afghane, spalleggiati in questo senso dagli armamenti, dai rifornimenti e dall’appoggio logistico fornito loro (in modo non ufficiale) da nazioni come gli Stati Uniti, il Pakistan, l’Iran, l’Arabia Saudita, la Cina e il Regno Unito.

Comunque in un confronto tecnico e tecnologico impari rispetto alle dotazioni dell’Armata Rossa gli abili comandanti dei mujaheddin impiegavano sapientemente i cecchini nell’ambito di operazioni complesse come le imboscate e i colpi di mano.

I cecchini, inseriti negli organici dei gruppi di assalto e nei nuclei di sicurezza, provvedevano all’eliminazione degli elementi chiave (autisti, mitraglieri e comandanti) dei convogli sovietici e con fuoco preciso supportavano il ripiegamento rallentando la reazione nemica.

Mentre nei colpi di mano, i cecchini colpivano prioritariamente soldati posti a guardia delle installazioni da assaltare. Molto apprezzati per tale impiego erano due vecchi e gloriosi fucili: il britannico Lee Enfield e il Mosin-nagant 91/30. Più raro invece era l’impiego dei singoli cecchini.

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in poco tempo, la guerra in Afghanistan mise in luce la necessità di avere snipers ben addestrati in grado di muovere e sopravvivere su un campo di battaglia estremamente difficile dove, per essere veramente efficaci, occorreva essere in grado di ingaggiare bersagli fino a 1000/1200 metri ed oltre. […] […] Le tattiche d’impiego del tempo, durante un attacco di plotone con i suoi tre BMP o BTR-60 o BMD, prevedevano che il mezzo con a bordo lo sniper restasse leggermente indietro rispetto agli altri mezzi al fine di farlo appiedare o per permettergli di sparare direttamente dalla botola del veicolo, comunque in ogni caso abbastanza vicino da fornire un supporto di fuoco; ciò, con l’idea di “tastare il terreno” per facilitare l’obiettivo del plotone, che nel frattempo assume la formazione a “V” in campo aperto, ovvero quello di mantenere lo slancio dell’attacco.

Nelle operazioni difensive, invece, l’impiego del tiratore scelto sovietico era più simile a quello del suo omologo occidentale, il che prevedeva capacità tecniche per costruire una buona postazione di tiro ben mimetizzata con efficaci campi di vista e tiro sulla fronte dello schieramento, con lo scopo di disarticolare la compattezza del nemico durante la sua avanzata.

A differenza dei cecchini occidentali, però, i sovietici, come detto, lavoravano sempre a contatto con la propria unità, sia per la rigidità della catena di comando, sia per assenza di uno spotter (osservatore) addestrato per le operazioni indipendenti.

Questa rigidità dottrinale, applicata pedissequamente in tempo di pace, a seguito della necessità tipica che impone la guerra ed obbliga la dottrina e la tattica a cambiare ed adattarsi alla realtà dello scontro sul campo, fece sì che ben presto la difficile situazione in Afghanistan imponesse dei correttivi tecnico-tattici anche per ciò che riguardava il tiro di precisione. […]

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