Per questa settimana, a causa di un problema tecnico, la rubrica Mercoledì Storia “va in onda” il giovedì.
Abbiamo così involontariamente creato un po’ di suspense attorno ad un personaggio storico che ha dato il suo nome ad un sommergibile della Regia Marina oltre ad ispirare Roberto Rossellini per il celebre film “L’uomo dalla croce”.
Buona lettura!
21 gennaio 1936, Passo Uarieu (Etiopia).
Erano circa le 16 quando l’aiutante di campo del Generale Diamanti si presentò presso il posto avanzato di medicazione ordinando che tutti i feriti venissero quanto prima sgomberati verso le posizioni fortificate di Passo Uarieu.
Il cappellano militare, che in quei momenti non cessava di fare la spola fra i numerosi feriti distribuendo una parola di conforto o, nei casi disperati, l’estrema unzione, temprato dai lunghi anni al fronte durante la Grande Guerra comprese subito la gravità della situazione ma pronunciò solo poche parole “La giornata sarà dura”.
Proprio in quei frangenti le forze abissine del Ras Cassa impegnarono con un’improvvisa sortita i reparti Esploratori e Zappatori posti a difesa di quelle posizioni. Le forze italiane prestarono una strenua resistenza ma il nemico riuscì a sfondare le prime linee dando vita ad una furiosa mischia.
Padre Reginaldo Giuliani, questo il nome del cappellano militare, era rimasto nel vivo dell’azione. Come lo ricorderà quello stesso anno Renato Simoni egli infatti “partecipava all’assalto con gli occhiali a stanghetta del frate studioso e l’elmetto pesto del combattente”.
Nella sua memoria doveva di certo essere ancora ben vivo il ricordo dei lunghi mesi passati al fronte come cappellano degli arditi della Terza Armata.
Anni nei quali svestì in più occasioni l’abito talare per partecipare agli attacchi, tanto da assumere anche il comando di una compagnia di arditi in un frangente particolarmente difficile.
Non ebbe quindi esitazioni quando, visto ferito l’amico Luigi Valcarenghi, si spinse fino alla prima linea dove già le truppe italiane erano costrette alla ritirata. Giunto presso l’amico si chinò per prestargli le prime cure inconsapevole che presto anche lui avrebbe trovato il proprio destino.
Un sole abbacinante illuminava il campo di battaglia quasi a voler contrastare il lugubre spettacolo dei numerosissimi corpi che costellavano il paesaggio. Fu un istante, un bagliore si riflesse sugli occhiali del cappellano seguito da un dolore lancinante alla spalla sinistra. Reginaldo Giuliani si accasciò a terra, mentre le truppe abissine lo superavano oramai fiduciose nella vittoria.
La notte scese, serena e stellata. I canti di guerra degli abissini e il tam-tam dei loro tamburi era intercalato dal crepitio delle mitragliatrici italiane e dal ritmo cadenzato delle artiglierie. Presto iniziò anche la dolorosa conta dei caduti e dei dispersi ma solo dopo quattro giorni fu possibile procedere con il trasporto e la sepoltura dei morti. Il 25 gennaio una mesta processione si avviò verso quelle che erano state le linee di difesa italiane.
Poco oltre venne identificato il corpo di Padre Reginaldo, unico fra i numerosi caduti a non essere stato spogliato completamente della propria uniforme.
Il corpo del coraggioso cappellano fu inumato prima nel cimitero di Sella Uarieu, a lui intitolato, per essere poi traslato nella chiesetta di Adi-Caieh e sulla sua lapide venne incisa la motivazione della Medaglia d’Oro sul campo. Le spoglie di Reginaldo Giuliani riposano ora nella Chiesa di San Domenico a Torino.