Nuova settimana e nuovo appuntamento con la rubrica Mercoledì Storia.
Forse pochi oggi assocerebbero la celebre battaglia dell’Ortigara con l’aviazione, e probabilmente ancora meno vi assocerebbero il nome di uno degli assi della nostra forza aerea.
Eppure, in quell’estate del 1917, il contributo dato dai nostri velivoli fu tale, anche sotto il profilo numerico, da superare molti degli analoghi scontri della Seconda Guerra Mondiale. Buona lettura!
Friuli Venezia Giulia, 20 marzo 1917.
Il velivolo, uno SPAD VII da poco consegnato all’aviazione da caccia italiana, rispondeva sicuro ai comandi esperti del suo pilota che, desideroso di testare fino in fondo i limiti dell’aereo tirò deciso la barra di comando. Il velivolo, come un vero purosangue, si impennò deciso puntando il muso verso il blu del cielo.
Soddisfatto della cabrata ben riuscita, che aveva attestato una volta di più la solidità del mezzo, il pilota si apprestò a rientrare al campo di volo. Ricordava ancora distintamente il periodo a Betheny quando, in un’Europa ancora in pace, le giornate trascorrevano fra l’addestramento e le chiacchierate con i piloti francesi, allietate da un bicchiere di Bordeaux.
Con lo scoppio della guerra anche il tempo sembrava aver cambiato il suo normale fluire divenendo, allo stesso tempo, dilatato e contratto.
Gli eventi si susseguivano rapidi ma in un presente apparentemente eterno.
Ricordava perfettamente che, solo un anno prima, il 7 aprile, aveva conseguito la sua prima vittoria costringendo ad un atterraggio di fortuna, nei pressi di Medeuzza, il Brandenburg C.I 61.57 della Flik19.
Nel breve scontro, svoltosi a circa 3.000 metri di quota, a bordo del suo Nieuport Ni.11 era rapidamente riuscito a portarsi sotto la coda dell’avversario e da meno di 50 metri aveva sparato una raffica di 45 colpi, vuotando praticamente il caricatore della sua mitragliatrice Lewis.
I colpi avevano crivellato il biposto dal basso verso l’alto colpendo il serbatoio del carburante e ferendo gravemente l’osservatore. Mentre questi ricordi ancora indugiavano nella sua mente l’aereo toccò terra, riportando alla realtà Francesco Baracca, asso della caccia italiana.
Il capitano Baracca osservava attento i velivoli della 91ª Squadriglia, da lui comandata, mentre atterravano nel campo di Istrana, il 6 giugno, accompagnati da quelli della 78ª.
Il nuovo schieramento era motivato da necessità operative che avrebbero visto lui ed i suoi piloti operare a sostegno delle truppe impegnate sull’ Altopiano dei Sette Comuni, coprendo anche le valli ad esso limitrofe.
Trascorsero solo due giorni dal primo impiego operativo che Baracca ricorda, con un pizzico di amarezza, in una sua lettera alla madre: “Stamane ho avuto combattimento su Cima Caldiera e Ospedaletto in Valsugana con un Albatros e sono arrabbiatissimo per non averlo potuto abbattere; ma il pilota nemico era assai abile e la mitragliatrice dopo 100 colpi si è inceppata”.
La maggior parte delle operazioni aeree compiute dalla 91ª Squadriglia fu però di protezione alle importanti missioni compiute dai nostri bombardieri e volte a colpire le linee di comunicazione e rifornimento dell’esercito asburgico.
Non mancò però di certo adrenalina e suspanse quando, sui cieli dell’Altopiano, alcuni elementi della squadriglia poterono assistere all’arditissimo gesto del motorista-mitragliere Alberto Farnetti che, vista l’avaria ad uno dei motori del suo Ca 2388, decise di inerpicarsi sull’ala e di riparare al volo, è il caso di dirlo, il guasto.
Il ricordo di questi “cavalieri dell’aria” e pionieri del volo è però indissolubilmente legato alle loro spericolate evoluzioni aeree, sempre focalizzati ad ottenere quel ridotto vantaggio che avrebbe garantito loro la vittoria.
Questo “giostrare” nei cieli appare con maggiore chiarezza nelle vivide parole dello stesso Baracca: “Il 30 [giugno], alle 7, ho avuto uno scontro su Arsiero a 5200 metri con un Albatros scortato da un caccia austriaco; ho sparato pochi colpi perché manovravano assai bene ed erano vecchi piloti, ma li ho messi in fuga, facendoli scendere ed inseguendoli 10 chilometri di là dalle linee verso Caldonazzo; è il 34° combattimento che sostengo.
Riparto dal Trentino assai soddisfatto dei voli qua compiuti a grandi quote: fui anche su Rovereto, in vista di Trento, e sul lago di Garda, bellissimo.”
Il maggiore Francesco Baracca verrà abbattuto il 15 giugno 1918 sui cieli del Montello, sulle cui pendici verrà eretto il monumento che ancora oggi lo commemora.
Il ricordo di questo grande aviatore, oltre che per le 33 vittorie accertate, è ancora vivo per il celebre cavallino rampante che, dopo aver ornato la carlinga del suo aereo, dal 1929, per la grande ammirazione che Enzo Ferrari nutriva nei confronti di Baracca, diverrà simbolo della scuderia Ferrari.